Principali differenze nella tutela giuridica delle coppie sposate e conviventi
Avv. Silvia Paoletti.
La scelta consapevole di formalizzare o meno la propria unione sentimentale passa certamente attraverso la risposta a taluni quesiti che servono a comprendere le principali differenze, sotto il profilo legale, tra un rapporto di coppia configurato come convivenza di fatto o come vincolo matrimoniale.
Una breve premessa esplicativa.
Si definisce convivente more uxorio, anche detto convivente di fatto, quel soggetto che coabita con altro a cui è legato da una relazione affettiva solidale con comunione di vita. Dalla convivenza scaturiscono diritti diversi a seconda che la coppia formalizzi o meno la situazione di fatto.
Al riguardo, la legge n. 76/2016 (detta anche Legge Cirinnà) individua due ipotesi:
· la mera convivenza;
· la convivenza formalizzata da attestazione presentata al Comune di residenza, nella quale i conviventi dichiarano di abitare allo stesso indirizzo, onde ottenere la registrazione. L’Ufficio Anagrafe rilascia un certificato di stato di famiglia, che indica anche l’eventuale conclusione del contratto di convivenza.
Per le persone conviventi senza formalizzazione del loro status, la legge non prevede nessuna specifica tutela, ma la giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione) nel tempo ha elaborato alcuni strumenti di salvaguardia, soprattutto nel caso di crisi o fine dell’unione.
Veniamo, ora, ad affontare i quesiti principali che – quale avvocato esperto in diritto di famiglia – molto spesso mi rivolgono i clienti.
1. Vantaggi/svantaggi economici legati al matrimonio
Quando ci si unisce in matrimonio, primariamente, si è chiamati a scegliere il regime patrimoniale da applicare all’unione: comunione o separazione legale dei beni.
L’art. 159 c.c. prevede che “il regime patrimoniale legale della famiglia, in mancanza di diversa convenzione stipulata a norma dell’articolo 162, è costituito dalla comunione dei beni”.
In tale ipotesi, la norma di riferimento è rappresentata dall’art. 177 ss. c.c.
La legge prescrive la comunione di tutti i beni acquistati dai coniugi insieme o separatamente a partire dal giorno delle le nozze: ciascun coniuge possiede il 50% dei beni, compresi gli eventuali debiti.
Fanno eccezione i beni di tipo personale:
· quelli che riguardano la proprietà del coniuge prima del giorno del matrimonio;
· quelli di uso personale o che sono considerati necessari per l’esercizio della professione;
· quelli che il coniuge ha acquistato per successione o per donazione, anche durante il matrimonio.
Il regime di separazione dei beni permette, invece, a ciascuno dei coniugi di disporre della proprietà esclusiva dei beni acquistati anche dopo il matrimonio. In tal caso, la disciplina si rinviene nell’art. 215 c.c.: “I coniugi possono convenire che ciascuno di essi conservi la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio”.
Per entrambi i regimi patrimoniali (comunione e separazione dei beni) vale la regola per cui i coniugi sono titolari di responsabilità verso la famiglia: ciascuno è, infatti, tenuto a contribuire, secondo le proprie possibilità, alle spese necessarie al sostentamento del nucleo familiare.
Come anticipato, il regime della separazione dei beni va espressamente scelto dai coniugi, secondo una delle seguenti modalità: prima del matrimonio, con convenzione stipulata davanti ad un notaio o al momento della richiesta di pubblicazioni; al momento della celebrazione del matrimonio, con dichiarazione fatta al celebrante; dopo il matrimonio, davanti ad un notaio.
Risulta utile schematizzare le sostanziali differenze tra condizione di coniuge o di membro di una coppia di fatto:
i. diversamente rispetto ai membri di una coppia di fatto, i coniugi hanno obbligo di cura ed assistenza reciproci (morale, economica, materiale);
ii. diversamente rispetto al membro di una coppia di fatto, il coniuge superstite è erede legittimo del coniuge defunto. A favore del coniuge è riservata la metà del patrimonio dell’altro coniuge, salve le disposizioni per il caso di concorso con i figli. Al coniuge sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza coniugale;
iii l’obbligo di fedeltà è operante solo all’interno del matrimonio, con la conseguenza che la sua violazione configura illecito civile e costituisce possibile causa di addebito della separazione (conseguenza: perdita eventuale diritto al mantenimento e diritti successori);
iv. per i coniugi, obbligo di coabitazione;
v. in caso di matrimonio, il riconoscimento del figlio è automatico (nell’ipotesi di convivenza, avviene con un’apposita dichiarazione rilasciata davanti a Ufficiale di stato civile, in un atto pubblico redatto da un notaio, in un testamento);
vi. pensione di reversibilità in favore del coniuge superstite (nel caso di convivenza semplice, tale diritto non spetta): il coniuge superstite matura un diritto ad un trattamento pari al 60% della pensione che spettava (o sarebbe spettata) al de cuius;
vii. solo il coniuge ha diritto (in caso di diversità dei redditi/patrimoni) a contributo al mantenimento in caso di separazione ed assegno periodico in caso di divorzio.
2. Tutela dei figli
Il codice non pone alcuna distinzione tra figli nati durante il matrimonio o da persone conviventi (la legge n. 219/2012 ha eliminato la ripartizione tra figli legittimi e naturali, sostituendo le definizioni con quelle di “figli del matrimonio” e figli “nati fuori dal matrimonio” e riferendosi a un unico rapporto di filiazione a prescindere dall’esistenza o meno del vincolo coniugale).
3. Fine rapporto affettivo
Nell’ipotesi di matrimonio, la fine del rapporto avviene per steps successivi: prima la separazione e, entro sei mesi se essa è consensuale o entro un anno se è giudiziale (salva la possibilità di proporre la domanda contestualmente alla separazione dopo l’entrata in vigore della Riforma Cartabia), il divorzio.
La separazione – può essere giudiziale o consensuale – prevede una regolamentazione del rapporto di filiazione (affidamento, collocamento e mantenimento), assegnazione della casa coniugale (la casa “segue” il collocamento del figlio minorenne o maggiorenne e non economicamente autosufficiente o, in mancanza, va al legittimo proprietario del bene immobile), previsione di eventuale contributo al mantenimento per il coniuge separato economicamente più debole.
Il divorzio – può essere contenzioso o congiunto – è il momento dello scioglimento del vincolo matrimoniale. Oltre alla citata regolamentazione riguardante i figli (minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti), è prevista la possibilità di riconoscimento dell’assegno divorzile: un contributo periodico nei casi in cui l’ex coniuge non abbia adeguati mezzi economici o abbia difficoltà di procurarseli per ragioni oggettive, tenuto conto del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio personale o comune durante il matrimonio, dei redditi di entrambi, della durata del matrimonio.
Dopo il divorzio si verifica la perdita dei diritti successori nei confronti dell’ex coniuge, ma la legge prevede che il divorziato al quale è stato riconosciuto l’assegno divorzile, se si trova in stato di bisogno, ha diritto di percepire un assegno successorio a carico dell’eredità, tenuto conto dell’importo dell’assegno di divorzio, dell’entità del bisogno, dell’eventuale pensione di reversibilità e delle sostanze ereditarie.
Il coniuge divorziato, che non ha contratto un nuovo matrimonio, ha diritto a una percentuale – pari al 40% con riferimento agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio – del T.F.R. percepita dall’altro coniuge alla cessazione del rapporto di lavoro. In caso di morte dell’ex coniuge, sorge il diritto a percepire la pensione di reversibilità se il rapporto pensionistico è anteriore alla sentenza di divorzio.
Quando a finire è la convivenza di fatto, le modalità (scelte consensualmente tra le parti o giudizialmente dal Giudice) di regolamentazione di affidamento, collocamento (anche con riferimento all’assegnazione dell’abitazione familiare) e mantenimento dei figli minori o maggiorenni e non economicamente autosufficienti possono essere fissate da un provvedimento del Tribunale.
Solo nel caso di convivenza formalizzata, la legge n. 76/2016 ha attribuito ai conviventi alcuni diritti nel corso della convivenza e un minimo di tutela per il convivente debole dopo la fine dell’unione. Invero, il convivente di fatto che ha registrato la propria convivenza, qualora si dissolva il legame affettivo, ha di diritto di ricevere dall’altro gli alimenti se versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento.
Gli alimenti devono essere assegnati in proporzione del bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli, senza superare le necessità di vita avuto riguardo alla posizione sociale di chi li riceve.
I conviventi possono regolare i loro rapporti patrimoniali con il contratto di convivenza. Non è obbligatorio, ma è utile per regolare diritti e doveri patrimoniali della coppia: obbligo di assistenza materiale, suddivisione delle spese di mantenimento della famiglia e dei figli, regolamentazione dei diritti sul bene casa, scelta del regime di comunione legale degli acquisti, condizioni e modalità della contribuzione di ciascun convivente alla vita comune.
Il contratto di convivenza può essere ricevuto da un notaio o da un avvocato e deve essere trasmesso all’anagrafe del Comune dove la coppia ha la residenza registrata. Può anche regolare gli aspetti patrimoniali al momento della cessazione della convivenza. La convivenza registrata si scioglie per accordo delle parti o per recesso unilaterale di uno dei conviventi oppure per matrimonio, unione civile tra i conviventi o tra un convivente e un’altra persona.