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Redditi occultati al fisco nel calcolo dell’assegno di mantenimento.

“Nei giudizi di separazione giudiziale dei coniugi, il potere di disporre indagini della polizia tributaria, derivante dall’applicazione analogica dell’art. 5, comma 9, l. n. 898 del 1970, costituisce una deroga alle regole generali sul riparto dell’onere della prova, il cui esercizio è espressione della discrezionalità del giudice di merito che, però, incontra un limite in presenza di fatti precisi e circostanziati in ordine all’incompletezza o all’inattendibilità delle risultanze fiscali acquisite al processo. In tali casi, il giudice ha il dovere di disporre le indagini della polizia tributaria, non potendo rigettare le domande volte al riconoscimento o alla determinazione dell’assegno, fondate proprio sulle circostanze specifiche che avrebbero dovuto essere verificate per il tramite delle menzionate indagini”.

La Cassazione, con ordinanza n. 22616 del 19 luglio 2022, in linea con la costante e consolidata giurisprudenza, ha confermato che ( in sede di separazione giudiziale, ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge economicamente più debole e dei figli) anche il reddito dell’ex partner, derivante da lavoro in nero, contribuisca ad incrementare le disponibilità reddituali, indipendentemente dal versamento dei relativi contributi previdenziali e che concorra ai fini della determinazione dell’assegno.

Pertanto: l’esistenza di un’occupazione, seppur non dichiarata, va considerata una prova della reale capacità economica del soggetto. Nel caso di specie, la Corte d’appello aveva respinto la domanda della moglie la quale aveva contestato l’ammontare dell’assegno perchè corrisposto in proporzione al solo reddito dichiarato dal marito, trascurando le entrate sottratte all’imposizione fiscale dell’attività libero professionale del coniuge.

Per la Corte territoriale, invece, non potevano concorrere alla ricostruzione del tenore familiare le entrate in nero in quanto, ai fini della liquidazione dell’assegno in questione, non è necessaria la quantificazione esatta dei redditi delle parti, ben potendo il giudice desumere argomenti di prova anche dal comportamento processuale delle stesse in relazione agli ordini di esibizione adempiuti e non. Di conseguenza, era stato negato l’utilizzo sia di indagini di polizia tributaria che di ulteriori approfondimenti di ordine istruttorio, utili a ricostruire le effettive consistenze economiche, richiesti dalla ricorrente.

Di avviso opposto la Cassazione che, nella richiamata ordinanza, evidenzia che, ai fini dell’accertamento del tenore di vita goduto dalla famiglia, funzionale alla determinazione dell’assegno di mantenimento, bisogna tener conto di tutte le consistenze reddituali, anche quelle sottratte al fisco, all’accertamento delle quali l’ordinamento prevede “strumenti processuali ufficiosi, quali le indagini della polizia tributaria”.

Il potere di disporre siffatte indagini “costituisce una deroga alle regole generali sul riparto dell’onere della prova, il cui esercizio è espressione della discrezionalità del giudice di merito che, però, incontra un limite in presenza di fatti precisi e circostanziati in ordine all’incompletezza o all’inattendibilità delle risultanze fiscali acquisite al processo”.

Dunque: in presenza di fatti precisi e circostanziati, il giudice ha il dovere di disporre le indagini della polizia tributaria in quanto non possono, certamente, ritenersi superflue, ai fini della determinazione dell’assegno, le eventuali entrate occultate al fisco. Il giudice d’appello, per gli ermellini, ha mancato di valutare se gli elementi addotti dalla ricorrente circa l’incompletezza e l’inattendibilità delle risultanze relative alle entrate reddituali dell’ex coniuge, fossero così specifiche e circostanziate da giustificare la ricerca di ulteriori informazioni, rispetto a quelle già acquisite, avvalendosi della polizia tributaria. Solo con l’acquisizione di tali informazioni, la Corte territoriale avrebbe potuto valutare se le stesse fossero in grado di rappresentare un tenore di vita diverso rispetto alle risultanze processuali.

La Cassazione, nell’affermare che “il giudice ha il dovere di disporre le indagini della polizia tributaria, non potendo rigettare le domande volte al riconoscimento o alla determinazione dell’assegno, fondate proprio sulle circostanze specifiche che avrebbero dovuto essere verificate per il tramite delle menzionate indagini”, ha, pertanto, cassato la sentenza impugnata.

Allegato:

Cassazione civile ordinanza n.22616 2022

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