Revoca della rinuncia all’eredita’: presupposti e forma
E noto che alla morte di una persona con l’apertura della successione nei beni ereditari, i c.d. chiamati per diventare eredi devono procedere all’accettazione dell’eredità, che può essere espressa o tacita. Il diritto per ogni chiamato si prescrive in dieci anni, decorrenti dal giorno dell’apertura della successione. Una volta accettata, l’eredità non può essere revocata.
Martedi 10 Gennaio 2023 |
Diverso è il caso, invece, della rinuncia. Infatti, dopo la rinuncia, la legge riconosce al rinunciante la possibilità di cambiare idea e di procedere alla sua revoca.
Due sono i presupposti previsti affinchè la revoca possa essere considerata valida. Il primo è che nel frattempo l’eredità non sia stata acquistata dagli altri attraverso il sistema dell’accrescimento della quota e che non sia decorso il termine prescrizionale di dieci anni concesso al chiamato per accettarla o il termine fissato dal giudice ai sensi dell’art. 481 del Codice civile, secondo il quale “Chiunque vi ha interesse può chiedere che l’autorità giudiziaria fissi un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinunzia all’eredità. Trascorso questo termine senza che abbia fatto la dichiarazione, il chiamato perde il diritto di accettare”.
Cosa deve fare il rinunciante all’eredità per procedere alla revoca della rinuncia all’eredità?
Sulla questione si è pronunciata di recente la Corte di Cassazione con l’ordinanza 37927 del 28 dicembre 2022.
IL CASO: La vicenda esaminata riguarda una controversia nella quale l’attore, sul presupposto di aver, in nome e per conto di altri familiari, curato un’operazione immobiliare conclusasi nella realizzazioni di civili abitazioni, conveniva questi ultimi innanzi al Tribunale al fine di ottenere la loro condanna al rimborso pro quota delle somme anticipate nel comune interesse e in subordine chiedeva la loro condanna al pagamento delle stesse somme per indebito arricchimento ai sensi del secondo comma dell’art. 2041 del Codice Civile.
Più precisamente, l’attore rappresentava di essersi opposto nell’interesse di tutti i comproprietari alla richiesta di pagamento di una somma di denaro formulata dal Comune dove l’opera era stata realizzata e al fine di evitare il pagamento degli oneri della riscossione aveva provveduto al versamento di una consistente somma di denaro in favore dell’ente.
Sia il Tribunale sia la Corte di Appello davano ragione all’attore accogliendo la domanda dallo stesso proposta. I Giudici di secondo grado rilevavano che gli appellanti, originari convenuti nel primo giudizio, si erano considerati eredi e solo in appello avevano posto in discussione la mancanza di prova di tale qualità.
Più precisamente, i giudici di appello, esaminando gli atti del giudizio svoltosi innanzi al Tribunale, osservavano che dagli stessi emergeva un comportamento contraddittorio degli appellanti in quanto, dopo aver affermato di essere eredi, pur avendo evidenziato di aver rinunciato all’eredità del loro dante causa, si erano difesi, nel merito, dalla pretesa azionata, concludendo, in via principale, per il rigetto della domanda attrice per essere la stessa infondata e solo in subordine per aver rinunciato all’eredità. Il comportamento degli appellanti, secondo i giudici era da considerarsi palesemente incompatibile con la dichiarazione di voler rinunciare all’eredità, configurandosi sempre in considerazione della revocabilità della rinuncia come comportamento concludente chiaramente integrante accettazione tacita dell’eredità.
LA DECISIONE: La decisione dei giudici di merito è stata ribaltata dalla Corte di Cassazione la quale ha accolto il ricorso promosso da due degli appellanti, con rinvio della causa alla Corte di Appello di provenienza, in diversa composizione, dando dato continuità al principio di diritto secondo cui: “nel sistema delineato dagli artt. 519 e 525 c.c.. in tema di rinunzia all’eredità – la quale determina la perdita del diritto all’eredità ove ne sopraggiunga l’acquisto da parte degli altri chiamati – l’atto di rinunzia deve essere rivestito di forma solenne (dichiarazione resa davanti a notaio o al cancelliere e iscrizione nel registro delle successioni), con la conseguenza che una revoca tacita della rinunzia è inammissibile” (Cass. civ., sez. II, n. 21014 del 2011 e Cass. civ., sez. II, n. 3958 del 2014, Cass. civ., sez. III, Sent. n. 4846 del 2003).
Gli Ermellini hanno osservato che:
1. la rinuncia all’eredità consiste in un atto giuridico unilaterale, mediante il quale il chiamato all’eredità dismette il suo diritto di accettarla;
2. a seguito della rinuncia si perde il diritto all’eredità e il rinunciante è considerato come se non fosse stato mai chiamato per effetto della retroattività della rinuncia previsto dall’articolo 519 del Codice Civile;
3. la perdita del diritto all’eredità si verifica non solo dalla rinuncia, ma dall’avvenuto acquisto dell’eredità da parte degli altri chiamati. Pertanto, fino a quando ciò non si verifichi, il rinunziante può sempre esercitare il diritto di accettazione, come statuito dall’articolo 525 del Codice Civile;
4. in considerazione di queste rilevanti conseguenze l’art. 519 del Codice Civile richiede che l’atto di rinuncia sia rivestito da una forma solenne. Essa “deve farsi con dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere (…) e inserita nel registro delle successioni“;
5. come più volte affermato, la dichiarazione di rinunzia all’eredità non può essere sostituita neanche da una scrittura privata autenticata;
6. poiché, quanto indicato dall’art. 519 del Codice Civile, rientra tra le previsioni legali di forma “ad substantiam”, di cui all’art. 1350, n. 13 dello stesso codice, la forma solenne è prevista a pena di nullità.