Si può registrare una conversazione privata senza il consenso dell’interlocutore?

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 5844 del 5 marzo 2025 torna ad occuparsi delle condizioni necessarie affinchè sia ritenuto legittimo registrare senza autorizzazione una conversazione privata, intercorsa, nella fattispecie, con un collega di lavoro.
Lunedi 7 Aprile 2025 |
Il caso: la Commissione Medica di Disciplina dell’Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri applicava a Mevia, in servizio presso l’Unità di Terapia Intensiva Cardiologica (UTIC) dell’Unità operativa complessa (UOC) di Cardiologia dell’Azienda sanitaria provinciale, la sanzione della censura ex art. 40 punto 2) D.P.R. 221/1950 per violazione dell’art. 58 del Codice deontologico dei Medici (nel testo del 1995 aggiornato al 15 dicembre 2006, applicabile ratione temporis), per avere posto in essere un comportamento scorretto, in violazione del dovere di rispetto reciproco e fiducia nei confronti di un collega, il dott. Caio.
In particolare, la dott.ssa Mevia aveva registrato senza autorizzazione una conversazione privata, intercorsa con il collega in ambiente e orario di lavoro, allo scopo di utilizzarne il contenuto come prova contro il direttore della U.O.C., dott. Sempronio, da lei denunciato per abuso di ufficio e omissione di atti d’ufficio commessi in suo danno.
La dottoressa proponeva quindi ricorso ex art. 5 D.Lgs. 233/1946 innanzi alla Commissione centrale, che però respingeva l’impugnazione.
Mevia ricorre in Cassazione, deducendo la violazione degli artt. 24 Cost.,51 cod. pen. e 24 D.Lgs. 196/2003 (cd. Codice Privacy) per non avere la Corte considerato che la registrazione di un colloquio fra colleghi, a cui partecipi chi registra, finalizzata ad acquisire prove da utilizzare in sede giudiziaria, non è lesiva del diritto alla riservatezza, seppure realizzata senza il consenso dell’interessato, perché necessaria ai fini dello svolgimento delle indagini difensive o comunque per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria.
La Cassazione dà ragione alla ricorrente e sul punto ribadisce i seguenti principi:
a) la Commissione centrale, nell’esaminare le ragioni scriminanti addotte dalla incolpata, non si è conformata a un principio di diritto consacrato nella norma dell’art. 24 del Codice della privacy, in applicazione – ancor prima – del principio generale di cui all’art. 51 cod. pen., secondo cui non è illecita la violazione del diritto alla riservatezza, cioè la condotta di registrazione d’una conversazione tra presenti in mancanza dell’altrui consenso, ove rispondente alle necessità conseguenti al legittimo esercizio del diritto di difesa in giudizio;
b) in particolare, per quel che qui rileva, la scriminante opera a prescindere dalla esatta coincidenza soggettiva tra i conversanti e le parti processuali, purché l’utilizzazione di tale registrazione avvenga solo in funzione del perseguimento di tale finalità e per il periodo di tempo strettamente necessario;
c) peraltro, il diritto di difesa non deve ritenersi limitato alla pura e semplice sede processuale, estendendosi a tutte quelle attività dirette ad acquisire prove in essa utilizzabili, ancor prima che la controversia sia stata formalmente instaurata mediante citazione o ricorso; non a caso, nel codice di procedura penale, il diritto di difesa costituzionalmente garantito dall’art. 24 Cost. sussiste anche in capo a chi non abbia ancora assunto la qualità di parte in un procedimento.