Sul difetto di legittimazione passiva: controdeduzioni del creditore cessionario.
Commento alla sentenza resa dal Tribunale di Novara n. 713 resa lo scorso 12/12/2022.
In tema di cessione dei crediti cosiddetti “non performing”, nell’ambito del contenzioso passivo, accade sovente che il debitore ceduto adisca la Magistratura, chiamando in causa il creditore cessionario evocando, in danno di questi, la restituzione di somme già corrisposte al creditore ceduto eccependo, ad esempio, profili di anatocismo, usura o l’applicazione di tassi di interessa sovra soglia.
Lunedi 23 Gennaio 2023 |
Il creditore cessionario, al tempo della costituzione in giudizio, non può che eccepire il difetto di legittimazione passiva dimostrando d’avere ceduto il credito oggetto di causa ai sensi dell’art. 58 del TU Bancario. Come è noto, il cessionario del credito non subentra mai nell’originario sinallagma contrattuale (ossia quello costituitosi tra il debitore ceduto e il creditore cedente) e non si vede mai beneficiario (in ragione delle obbligazioni di cui a quello specifico contratto di finanziamento) delle somme ipoteticamente corrisposte dal debitore ceduto; tali incontrovertibili circostanze, portano a ritenere la insussistenza della legittimazione passiva del creditore cessionario rispetto alle richieste restitutorie avversarie.
La correttezza delle suesposte difese, tradizionalmente impostate dai creditori cessionari, è stata, da ultimo, ribadita dal Tribunale di Novara con la recentissima sentenza n. 713 resa lo scorso 12/12/2022.
Il Tribunale ha confermato nel pronunciamento in commento, l’orientamento già espresso copiose volte dalla Suprema Corte in tema di indispensabile distinzione tra l’istituto della cessione del contratto e quello della cessione del credito, rimarcando poi il vincolo della destinazione impressa ai patrimoni oggetto delle operazioni di cartolarizzazione (art. 1, comma 1, lett. b della l. 130/1999).
Ha sostenuto il Tribunale che consentire ai debitori ceduti di opporre in compensazione, al cessionario, controcrediti da essi vantati verso il cedente e addirittura consentire, come nella specie, la proposizione di domande riconvenzionali, significherebbe andare ad incidere, in modo imprevedibile, su quel patrimonio separato a destinazione vincolata, scaricandone così le conseguenze sul pubblico dei risparmiatori ai quali spetta, invece, ed in via esclusiva il valore del medesimo.
I possessori dei titoli emessi dalla SPV (special pourpose vehicle) possono essere, infatti, esposti solo al rischio che deriva dal fatto che i crediti cartolarizzati non siano incassati poiché non soddisfatti dai debitori, ovvero perché inesistenti o, al limite, perché già estinti anche per compensazione, ma non anche a quello (pena, altrimenti, la negazione del meccanismo della separazione come tracciato dalla L. n. 130 del 1999, art. 1, comma 1, lettera b) che sul patrimonio alimentato dai flussi di cassa, generati dalla riscossione dei crediti cartolarizzati, possano soddisfarsi anche altri creditori.
La sentenza in commento è la riprova della correttezza, rispetto alla impostazione difensiva intrapresa, per conto dei cessionari, dagli special servicer (agenzie di recupero crediti, sempre più competenti, oltre che nella gestione e nell’esazione dei crediti, anche nel tutelare, giudizialmente, il diritto acquistato in sede di cessione dai loro mandanti).