English EN French FR Italian IT Spanish ES

Superbonus: i crediti d’imposta acquistati da soggetti poi indagati per truffa aggravata ai danni dello Stato e associazione a delinquere sono sequestrabili

Gli istituti hanno notato che prima di procedere al pagamento del credito ceduto avevano eseguito tutti i controlli e compiute tutte le verifiche necessarie.

La tesi difensiva

Gli istituti in buona sostanza hanno sottolineato che lo stesso credito sorge al momento in cui il beneficiario (ovvero colui che ha commissionato il lavoro) esercita l’opzione per la cessione, in luogo della detrazione diretta o del cosiddetto sconto in fattura.

La correttezza di questa conclusione emergerebbe evidente dal testo dell’articolo 121, D.L. n. 34 del 2020, in forza del quale – nel caso di insussistenza dei requisiti per accedere all’agevolazione fiscale – gli effetti pregiudizievoli sorgerebbero esclusivamente in capo al beneficiario del Superbonus, ossia a colui che sostiene le spese; il cessionario, per contro, risponderebbe soltanto per l’eventuale utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito ricevuto, oppure nell’ipotesi di concorso nella violazione compiuta dal cedente, da accertare secondo gli ordinari criteri penalistici.

Soltanto in questi casi, dunque, il cessionario non potrebbe validamente disporre del credito acquistato, non in altri.

La posizione della Cassazione

I giudici supremi hanno chiarito che dalla lettura dell’art. 121, comma 1, emerge con chiarezza che il meccanismo del Superbonus è stato costruito dal legislatore su percorsi alternativi, sebbene evidentemente legati nei presupposti e sostenuti dall’identica finalità di incentivare gli interventi indicati: all’utilizzo diretto della detrazione fiscale spettante, previsto come ipotesi ordinaria, sono state infatti aggiunte le due opzioni dello sconto in fattura e della cessione del credito, che – rimesse alla scelta dell’unico beneficiario (colui che ha sostenuto le spese) – costituiscono un’evidente derivazione della prima, utile per ottenere un’immediata monetizzazione del proprio diritto, senza dover attendere cinque anni per la complessiva detrazione

Secondo la Cassazione, quindi, non si riscontra, l’estinzione di un diritto alla detrazione (in capo al beneficiario) e la contestuale costituzione di un credito (in capo al cessionario), né un fenomeno novativo di sorta, ma soltanto l’evoluzione – non la sostituzione – del primo nel secondo, espediente tecnico necessario per consentire quella cessione a terzi ritenuta dal legislatore un fattore ulteriormente incentivante la procedura, e, dunque, uno strumento ancora più utile per la ripresa economica del Paese, fiaccato dalla pandemia.

Non è possibile quindi affermare la piena autonomia tra il bonus edilizio spettante al beneficiario nella originaria forma di detrazione e il credito di imposta che nasce in capo al fornitore o al cessionario per effetto della comunicazione all’Agenzia delle Entrate dell’opzione di sconto in fattura o cessione del credito.

Questa tesi trova conferma anche dall’art. 121, comma 3, D.L. n. 34 del 2020, in forza della cui prima parte “I crediti d’imposta di cui al presente articolo sono utilizzati in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, sulla base delle rate residue di detrazione non fruite.

Il credito d’imposta è usufruito con la stessa ripartizione in quote annuali con la quale sarebbe stata utilizzata la detrazione”.

Del resto proprio la possibilità che il terzo fornitore ed il cessionario siano chiamati a rispondere ai sensi del comma 6, in caso di concorso, evidenzia ulteriormente il nesso derivativo che il credito ceduto ha rispetto all’originario diritto alla detrazione stessa, non ravvisandosi presupposti, diversamente, per un “recupero” anche nei confronti di questi dell’importo corrispondente alla detrazione medesima.

I riferimenti alla posizione dell’Agenzia delle Entrate

I giudici supremi non ritengono decisivo per sostenere la tesi degli istituti il contenuto della Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 24/E dell’8 agosto 2020, nella quale, in particolare, si afferma che “I fornitori e i soggetti cessionari rispondono solo per l’eventuale utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d’imposta ricevuto.

Pertanto, se un soggetto acquisisce un credito d’imposta, ma durante i controlli dell’Agenzia delle entrate viene rilevato che il contribuente non aveva diritto alla detrazione, il cessionario che ha acquistato il credito in buona fede non perde il diritto ad utilizzare il credito d’imposta”.

La Cassazione infatti nota che si tratta soltanto della lettura di un testo normativo compiuta dall’Agenzia delle entrate, e non, invece, di un’interpretazione autentica vincolante erga omnes; in ogni caso gli ermellini notano che la stessa Agenzia – con la successiva circolare n. 23/E del 23 giugno 2022 – ha sostenuto una tesi contraria.

Condividi