Vano al piano terra rivendicato da un condomino: quali prove?
Accade, spesso e per svariate ragioni e o cause, che un bene sia posseduto non dal legittimo proprietario bensì abusivamente da altri. In tal caso, il soggetto che si afferma proprietario potrà recuperare la cosa illegittimamente posseduta o detenuta da altri, esperendo il rimedio principale che il nostro ordinamento appresta a tutela della proprietà ossia l’azione di rivendicazione.
Anche nell’ambito del condominio può accadere che un condomino che si ritenga proprietario di un locale ne chieda la restituzione al condominio che lo occupa illegittimamente.
Ed allora giova chiedersi: “Qual è la prova che deve essere fornita per esperire l’azione di rivendicazione?”
Di recente, il Tribunale di Palermo, con sentenza n. 4402 del 31 ottobre 2022, ha deciso sulla domanda proposta da una condomina per il riconoscimento della titolarità di un vano occupato dal condominio e per la restituzione dello stesso.
La pronuncia in esame, pertanto, ci offre lo spunto per approfondire il tema dell’azione di rivendicazione e del relativo onere probatorio.
Azione di rivendicazione e azione di restituzione. Le differenze
La c.d. rivendicatio, azione di rivendicazione, è un’azione petitoria concessa a chi si afferma proprietario di un bene ma non ne ha il possesso o la detenzione. È finalizzata a far accertare il diritto di proprietà vantato dal titolare sul bene nonché a far condannare chi lo possiede o detiene alla sua restituzione, come previsto dall’art. 948 c.c.
A norma dell’art. 948 c.c. l’azione di rivendicazione è quindi diretta a far consegeuire al proprietario il bene illegittimamente posseduto da altri, previa dimostrazione del titolo di proprietà.
L’indagine primaria che il Giudice di merito deve compiere, a fronte di una domanda di rivendicazione, è relativa all’esistenza di un titolo di proprietà in capo a chi agisce in rivendicazione.
Il titolo di proprietà è, infatti, un elemento costitutivo dell’azione di rivendicazione sicché il proprietario che agisce in giudizio deve fornirne prova. L’attore ha, infatti, l’onere di provare il diritto di proprietà sul bene rivendicato, come previsto dall’art. 2697 c.c. secondo cui “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda“.
Se l’acquisto è a titolo originario, sarà sufficiente fornire la prova di tale titolo (usucapione, accessione, occupazione etc.) mentre se l’acquisto è a titolo derivativo, l’attore dovrà fornire la prova del titolo di acquisto dei propri danti causa fino a risalire ad un acquisto a titolo originario (probatio diabolica).
L’azione di rivendicazione ha, dunque, natura reale poiché si fonda sul diritto di proprietà di un bene e può essere esperita contro chiunque possieda o detenga il bene stesso con possibilità di restituirlo.
Diversamente dall’azione rivendicatoria, l’azione di restituzione presuppone che l’attore agisca in giudizio vantando un diritto alla restituzione nascente da un rapporto contrattuale, dalla sua risoluzione o dalla sua scadenza come ad esempio nel caso di restituzione di un immobile per finita locazione.
Conseguentemente, chi agisce con l’azione di restituzione deve semplicemente provare l’obbligo del convenuto alla restituzione del bene non essendo necessario fornire prova del titolo di proprietà come invece nel caso di chi agisce in rivendicazione.
È noto infatti, in punto di diritto, che l’azione reale di rivendicazione, la quale mira al ricongiungimento della proprietà al possesso, si differenzia dalle azioni restitutorie di natura personale, che pure mirano alla riconsegna di un bene, perché nel primo caso chi agisce in giudizio aziona il proprio diritto di proprietà (di cui si richiede la prova), laddove invece nella seconda ipotesi la richiesta di restituzione è fondata sul venir meno del titolo che aveva giustificato la consegna del bene dall’attore al convenuto detentore (sul punto, v., tra le tante, Cass. n. 25052/2018; Cass. n. 703/2013; Cass. n. 14135/2005).
Nel precisare tale fondamentale differenza tra l’azione di rivendicazione e l’azione di restituzione, il Tribunale di Palermo – dopo aver qualificato l’azione proposta dall’attrice come azione di rivendicazione, in quanto fondata sul suo diritto di proprietà dell’area in contesa e sull’assenza in capo al condominio di un titolo legittimante l’occupazione – ha compiuto un’indagine volta alla verifica della sussistenza o meno del titolo di proprietà in capo alla condomina.
Vano al piano terra rivendicato da un condomino: quali prove? La vicenda
La proprietaria di un magazzino composto da un vano e WC facente parte dell’edificio condominiale agiva in giudizio per il riconoscimento della titolarità del vano occupato dal condominio convenuto, abusivamente in quanto, a dire della stessa attrice, costituente parte dell’immobile di sua proprietà.
Al fine di comprovare la proprietà del vano di cui si tratta, l’attrice produceva: l’atto di compravendita a mezzo del quale i genitori, in regime di comunione dei beni, avevano acquistato dai precedenti proprietari nonchè la planimetria catastale relativa al magazzino in questione.
L’attrice a riprova, precisava altresì che il vano in questione era stato da sempre utilizzato come ripostiglio, avendo la proprietà ricavato un diverso servizio sanitario da altra porzione dell’immobile.
Tuttavia, la prova fornita da parte attrice è stata ritenuta dal Tribunale assolutamente inidonea all’accertamento dell’esistenza, ai fini della azione ex art. 948 c.c., del suo diritto di proprietà del vano di cui si tratta.
Ciò perché, secondo il Giudice, il “vano” menzionato nell’atto di compravendita “magazzino terrano composto di un vano e WC“, non poteva essere quello per cui l’attrice rivendicava la proprietà mancando elementi descrittivi idonei ad avvalorare le asserzioni dell’attrice.
Al contrario, pur gravando sull’attore l’onere di provare il titolo a fondamento dell’azione di rivendicazione proposta, la documentazione offerta in giudizio dai convenuti, avvalorata dalle prove testimoniali assunte in sede istruttoria, ha portato a ritenere che il locale in contesa, lungi dall’essere stato acquistato in epoca passata dai genitori dell’attrice, era stato invece realizzato dal condominio, dietro proposta dell’allora amministratore.
Il Tribunale ha, pertanto, ritenuto la prova fornita dall’attrice inidonea a dimostrare l’esistenza di un titolo di proprietà del vano in contestazione, di converso assolutamente credibile la tesi del condominio, avvalorata dalle risultanze della prova orale assunta in giudizio, in ordine all’assoluta estraneità alla proprietà di parte attrice del vano oggetto di contesa.
L’indagine compiuta dal Giudice si è fondata su un importante principio di diritto in tema di onere probatorio relativo all’azione di rivendicazione.
Il principio di diritto
“In tema di rivendicazione, il giudice è tenuto innanzitutto a verificare l’esistenza, la validità e la rilevanza del titolo dedotto dall’attore a fondamento della pretesa, e ciò a prescindere da qualsiasi eccezione del convenuto, giacché, investendo tale indagine uno degli elementi costitutivi della domanda, la relativa prova deve essere fornita dall’attore e l’eventuale insussistenza deve essere rilevata dal giudice anche d’ufficio.
Per quanto attiene, in particolare, alla identità del bene domandato dall’attore con quello descritto nel titolo stesso, i dati catastali non hanno valore di prova ma di semplice indizio, costituendo le mappe catastali un sistema secondario e sussidiario rispetto all’insieme degli elementi raccolti in fase istruttoria” (Cass. n. 5131/2009) e che “il rigore della regola secondo la quale chi agisce in rivendicazione deve provare la sussistenza dell’asserito dominio sulla cosa anche attraverso i propri danti causa, fino ad un acquisto a titolo originario o dimostrando il compimento dell’usucapione, non è attenuato dalla proposizione della domanda riconvenzionale o dalla eccezione di usucapione, in quanto chi è convenuto nel giudizio di rivendicazione non ha l’onere di fornire alcuna prova, potendo avvalersi del principio possideo quia possideo, anche se opponga un proprio diritto di dominio sulla cosa rivendicata, poiché tale difesa non implica alcuna rinuncia alla vantaggiosa posizione di possesso” (Cass., n. 11555/2007; Cass. n. 5472/ 2001).
Sentenza
Scarica Trib. Palermo 31 ottobre 2022 n. 4402