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Videosorveglianza: non applicabile l’art. 162 2 ter in caso di violazione dell’art. 154 comma 1 lett. c)

Avv. Giorgio Di Iorio.

Un commento relativo all’ordinanza n. 19550/2024, pubblicata il 16/7/2024, con cui la Corte di Cassazione, chiamata a dirimere in ultima istanza una vicenda che aveva visto l’emanazione, da parte del Garante, di una ingiunzione nei confronti della società……. s.a.s. (………… – isola d’Ischia) in conseguenza della conservazione delle immagini acquisite in un sistema di videosorveglianza per la durata di oltre 15 giorni (e della violazione – contestata – del provvedimento del Garante in materia di videosorveglianza dell’8/4/2010), ha affermato l’illegittimità dell’applicazione del trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 162, 2 ter (ed applicato nella specie dal Garante), non potendo essere ricondotta quella fattispecie (a giudizio della Corte) sotto l’egida dell’art. 154, comma 1, lett. c) del Codice.

La decisione in commento, benché in apparenza poco significativa, ad avviso di chi scrive è per certi versi dirompente, perché si colloca in posizione distonica rispetto alle precedenti esegesi caldeggiate ed assunte come posizioni tralatizie.

Il punctum pruriens della vicenda sottoposta al vaglio della Cassazione è rappresentato dal confronto tra la tesi perorata dalla difesa della società ed avallata dal primo Giudice (Tribunale di Ischia – dott. Manera)), a tenore della quale il provvedimento del Garante dell’8/4/2010 in materia di videosorveglianza abbia portata generale ed astratta e non sia pertanto equiparabile, in ragione di tali sue specifiche peculiarità, ai provvedimenti resi (nell’ambito di un procedimento sanzionatorio) in sede di reclamo ai sensi dell’art. 143, lett. b) e dell’art. 154, comma 1, lett. c (la cui inosservanza è appunto sanzionata alla stregua dell’art. 162 c. 2-ter); con la conseguente declaratoria di illegittimità della sanzione comminata dal Garante.

E, sul versante opposto, la tesi propugnata dal Garante (difeso dall’Avvocatura dello Stato), che riconduce il mentovato provvedimento del Garante in materia di videosorveglianza nel novero di quelli di cui fa menzione il combinato disposto degli art. 143 e 154, comma 1, lett. c) del Codice, con la conseguente sanzionabilità della sua trasgressione alla stregua dell’art. 162 comma 2-ter.

Secondo la società ……………….s.a.s., in particolare, i “provvedimenti di prescrizione” di cui è parola nel combinato disposto degli artt. 154, comma 1, lett. c) e 162 2 ter del Codice, ad un tempo, hanno carattere individuale e sono “provvedimenti ad hoc”, specificatamente rivolti ed indirizzati dal Garante a soggetti predeterminati nell’ambito dei cd. “procedimenti per i reclami” (di cui all’art. 143), mediante i quali vengono impartite ad un destinatario specifico ed individuato, successivamente alla rilevazione della infrazione, le prescrizioni da adottare per rendere il trattamento effettuato (del quale sia stata già contestata la difformità dall’archetipo legale) conforme alle disposizioni del Codice.

Ed il trattamento sanzionatorio così oneroso previsto dalla precitata disposizione trova giustificazione proprio nel fatto che il destinatario di quel provvedimento, dopo aver commesso l’infrazione, piuttosto che conformarsi ad esso, abbia reiterato la violazione disattendendo le prescrizioni impartitegli dal Garante (appunto, con provvedimento ad hoc). Sovviene, al riguardo, l’art. 154, comma 1, in tal senso deponendo, invero, sia il suo tenore letterale (“prescrivere anche d’ufficio ai titolari del trattamento .. al fine di rendere il trattamento conforme alle disposizioni vigenti”), sia l’esplicito richiamo all’art. 143 (che, com’è noto, enumera le attività riservate alla competenza del Garante nell’ambito dello speciale “procedimento per i reclami”, contro un soggetto predeterminato). La fattispecie in esame pertanto (conclude la società) non si presta ad essere ricondotta nel raggio d’azione del combinato disposto dei menzionati articoli per altre vie, costituendo un dato di fatto non seriamente contestabile che la società qui rappresentata: – non avesse commesso in precedenza alcuna violazione; – non fosse stata destinataria di alcuna contestazione, né fosse stata coinvolta in un “procedimento per reclamo”; – non avesse disatteso alcun precedente provvedimento reso nei suoi confronti dal Garante (o da altra autorità preposta).

E tale irregolarità infirma in radice la legittimità della sanzione. Ma non solo; soggiunge la difesa della società che qualora risultasse corretta la correlazione effettuata dai verbalizzanti, prima, e dal Garante Privacy, poi, tra quella vicenda e la sanzione nella specie applicata (che – ricordiamo – contempla una cornice edittale che va da €. 30.000,00 fino ad €. 180.000,00), quest’ultima risulterebbe parimenti illegittima, e quindi nulla, in quanto manifestamente irragionevole, giacché decisamente esorbitante in relazione a quella specifica infrazione; e ciò sia in termini assoluti, sia alla stregua di una valutazione comparativa, effettuata tenendo conto di altre disposizioni del codice e delle specifiche sanzioni da esse previste.

Ci si riferisce, a tale secondo riguardo, a quelle norme del Codice che contemplano, in relazione a condotte e violazioni più gravi e certamente dotate di un maggiore disvalore, trattamenti sanzionatori decisamente più blandi; è il caso, ad esempio, della cessione illecita dei dati raccolti, sanzionata, ai sensi dell’art. 162, comma 1, con l’applicazione di una pena compresa tra €. 10.000,00 ed €. 60.000,00, la quale, ad una oggettiva considerazione, integra una condotta (di gran lunga) maggiormente lesiva di quella nella specie contestata; ed invero, la cessione dei dati (attuata, ad esempio, verso un corrispettivo economico ed cui consegua, inevitabilmente, uno sfruttamento indiscriminato da parte del cessionario), da un lato, e la mera conservazione di quei dati in un sistema informatico a circuito chiuso, consultabile soltanto da un soggetto predeterminato e pienamente conforme a quello delineato dal Codice, per un arco temporale eccedente il termine massimo di 24 ore ordinariamente previsto (punibile, secondo l’interpretazione del Garante, con una pena che va da €. 30.00,00 fino ad €. 180.000,00), dall’altro, non sono comparabili sul piano del disvalore, della gravità della condotta e della perniciosità per il titolare di quel dato; perciò, risulterebbe manifestamente irragionevole sanzionare la seconda condotta con una pena pecuniaria da €. 30.000,00 fino ad €. 180.000,00 (a fronte di una sanzione che va da €. 10.000,00 fino ad €. 60.000,00 riservata alla prima violazione).

E ci si riferisce, sempre in via esemplificativa, alla violazione delle disposizioni minime di sicurezza (art. 33), affatto non comparabile, per gravità e connotazione lesiva, a quella qui considerata, sanzionata (in maniera più benevola) dall’art. 162 bis con una pena pecuniaria compresa tra €. 20.000,00 ed €. 120.000,00. Ma, guardando il Codice, la casistica potrebbe essere certamente ampliata.

La Cassazione, in esito al confronto tra le parti costituite, rigetta il ricorso proposto dal Garante, uniformando la propria decisione a quella del primo Giudice (il quale, a sua volta aveva recepito appieno le tesi della società) e, dunque, confermando l’annullamento della sanzione applicata dal Garante.

Allegato:

Cassazione civile ordinanza 19550 2024

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