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Violazione dei sigilli: definizione e presupposti nella giurisprudenza di merito e di legittimità

Avv. Vincenzo Di Benedetto.

Nota a Tribunale di Siena, Sezione Penale, Sentenza n. 332/2022 del 6/06/2022 (dep. 02 settembre 2022) Giudice Dott. Francesco Cerretelli

Mercoledi 7 Giugno 2023

Con la sentenza in commento il Tribunale di Siena si discosta dall’emergente orientamento relativo alla non necessità di sigilli o segni esteriori per la configurabilità del reato di cui all’art. 349 c.p. riprendendo il precedente insegnamento della Cassazione (ex multis Cass. pen., Sez. III, 29/10/2002, n. 42951 (rv. 223035)) per il quale il presupposto per la sussistenza del delitto è l’avvenuta apposizione dei sigilli per disposizione di legge o per ordine delle autorità competenti.

La decisione prende le mosse da una citazione diretta a Giudizio davanti al Tribunale Monocratico di Siena per il reato p. e p. dall’art. 349 c. 2 c.p. perché l’imputato quale custode della propria autovettura sottoposta a fermo amministrativo da personale della Polizia di Stato, per violazioni amministrative al codice della strada, ne violava i sigilli utilizzandola e spostandola dal luogo di custodia. Dal punto di vista dell’astratta configurabilità dell’art. 349 c.p. all’ipotesi del fermo amministrativo di veicoli vi è un diretto riscontro nell’art. 214 del Codice della Strada (D. Lgs. 30/04/1992 n. 285) che lo disciplina. Infatti, l’art. 214 al primo comma prevede espressamente l’apposizione di “un sigillo” sul veicolo sottoposto a fermo, secondo le modalità e con le caratteristiche fissate con decreto del Ministero dell’Interno, e la nomina del proprietario quale custode dello stesso mentre il successivo comma ottavo del medesimo articolo prevede espressamente la sanzione amministrativa del pagamento di una somma a carico di chiunque circoli con un veicolo sottoposto a fermo amministrativo.

Quanto alla definizione di “sigillo” la giurisprudenza ricomprende in tale nozione qualunque strumento apposto alla cosa, tramite il quale si manifesti la volontà dello Stato di custodire secondo particolari modalità il bene; in altre parole, qualsiasi segno visibile e tangibile – come semplici cartelli, timbri in ceralacca, fili di ferro – che manifesti all’esterno la predetta volontà statuale (Cass. pen., Sez. III, 24/01/2006, n. 6446 (rv. 233312).

Ciò premesso, l’istruttoria dibattimentale consisteva nella deposizione degli agenti intervenuti, nella dichiarazione di inutilizzabilità delle dichiarazioni della moglie dell’imputato per il combinato disposto degli artt. 220 disp. att. c.p.p. e degli artt. 63-65 e 350 c.p. in quanto dall’accertamento ispettivo svolto nel luogo erano già emersi indizi di reità nonché l’acquisizione del verbale di fermo amministrativo ex art. 214 Codice della Strada; in particolare, lo scrivente difensore contestava che non risultavano apposti i sigilli o quantomeno non emergeva al di là di ogni ragionevole dubbio che vi fosse stata la materiale apposizione.

Infatti, la funzione del sigillo è proprio quella di manifestare l’esistenza del vincolo stesso sulla cosa, a prescindere dalla circostanza che possa essere costituito da qualsiasi segno esteriore e percettibile, e sia dal verbale sia dalla deposizione dell’Agente intervenuto non risultava emergere la prova dell’apposizione. Ebbene, nel modello utilizzato dalla Polizia di Stato era presente un apposito spazio da sbarrare nell’ipotesi in cui fossero stati apposti i sigilli; nel verbale tale casella non era sbarrata ed, inoltre, la circostanza che l’auto fosse parcheggiata in un area privata al momento della redazione del verbale di fermo amministrativo poteva aver indotto – ragionevolmente – gli Agenti Intervenuti a non apporre i sigilli.

Il Pubblico Ministero riteneva, invece, che la condotta dell’imputato integrasse il delitto di violazione dei sigilli di cui all’art. 349 c.p. in quanto il predetto – in qualità di proprietario nonché di nominato custode – era comunque edotto del vincolo posto sul bene, pur in assenza di sigilli o segni esteriori dell’avvenuto fermo, concludendo con una richiesta di condanna ad anni 3 di reclusione ed € 2.000,00 di multa.

Di tutt’altro avviso il Giudice del Tribunale di Siena che, nella sentenza oggetto di commento, assolveva l’imputato dal delitto contestato ritenendo meritevole di accoglimento l’eccezione concernente il difetto di prova circa l’avvenuta apposizione dei sigilli. Infatti il Giudice, dopo aver effettuato un ampio excursus sulla nozione di sigillo, evidenziava che non riteneva di dover dar seguito “ad un diverso e recente orientamento giurisprudenziale che, andando ben oltre il divieto di analogia, oblitera del tutto il presupposto di reato costituito dai sigilli. Secondo tale orientamento, non occorre che i sigilli siano stati materialmente apposti, né tanto meno che gli stessi siano stati oggetto di rottura o di rimozione, essendo sufficiente l’esistenza di qualche atto attraverso il quale sia stata resa manifesta la volontà dello Stato di garantire la cosa sequestrata contro ogni condotta di disposizione o manomissione da parte di persone non autorizzate, poiché oggetto specifico della tutela penale è l’interesse pubblico a garantire il rispetto dovuto al particolare stato di custodia imposto, per disposizione di legge o per ordine dell’autorità, ad una determinata cosa mobile o immobile, al fine di assicurarne la conservazione, l’identità e la consistenza oggettiva (Sez. 3, n. 24684 del 18/02/2015, Di Gennaro, Rv. 263882). Così facendo, però, l’orientamento giurisprudenziale appena citato in nome della tutela del bene giuridico presidiato contravviene a un principio cardine del diritto penale quale quello di frammentarietà”.

Ne consegue che la mancata prova della materiale apposizione dei sigilli o comunque di un qualche segno esteriore attraverso il quale sia resa manifesta la volontà dello Stato di garantire il bene sottoposto a vincolo contro ogni atto di disposizione o manomissione da parte di persona non autorizzata impedisce la possibilità di commettere il delitto di cui all’art. 349 c.p.; inoltre, trattandosi di un bene sottoposto a fermo amministrativo a norma dell’art. 214 del Codice della Strada (D. Lgs. 30/04/1992 n. 285) e non a sequestro amministrativo, giudiziario o conservativo non potranno trovare applicazione neppure i reati di cui all’art. 334 c.p. e 388 co. 6 c.p. ostandovi il principio di tassatività e determinatezza delle fattispecie penali nonché il divieto di analogia in “malam partem”.

Per completezza è opportuno sottolineare che nell’ipotesi in cui vi sia la prova che il custode abbia circolato con un veicolo sottoposto a fermo amministrativo (tra cui l’ammissione del medesimo, il mancato rinvenimento nel luogo di custodia ecc.) sul quale non siano stati apposti i sigilli, il Giudice potrà ravvisare il mero illecito amministrativo di cui all’art. 241 co. 8 Codice della Strada così come modificato dal D.L. 113/2018 con tutte le conseguenze che ne derivano.

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