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Vittime di reati violenti: la normativa italiana contrasta con il Diritto UE

La questione affrontata riguarda l’interpretazione dell’art.12, paragrafo 2, della Direttiva 2004/80/CE,relativa all’indennizzo delle vittime di reato,nonché degli artt.20 e 21,dell’art.33,par.1 e dell’art.47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE in relazione ad una controversia insorta, da un lato, tra i genitori, la sorella e i figli della Vittima di un omicidio e, dall’altro, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Interno Italiani in merito all’indennizzo da corrispondere da parte dello Stato ai Familiari per i danno subito a causa della insolvenza dello autore del grave reato.

La Corte,con la pregevole decisione,ha sancito che l’art. 12, § 2, della Direttiva 2004/80/CE, relativa all’indennizzo delle vittime di reato, dev’essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa di uno Stato membro (nella specie, l’Italia) che prevede un sistema di indennizzo per i reati intenzionali violenti che subordina, in caso di omicidio, il diritto all’indennizzo dei genitori della persona deceduta all’assenza di coniuge superstite e di figli di tale persona e quello dei fratelli e delle sorelle di quest’ultima all’assenza di detti genitori

Inoltre,la Corte ha ribadito che il presupposto dell’indennizzo non è il preventivo esperimento dell’azione esecutiva nei confronti dell’autore del reato bensì l’esistenza di una oggettiva difficoltà nel conseguire il risarcimento,sulla base di fattori diversi tra i quali l’assenza di risorse economiche sufficienti in capo al medesimo,desumibili da una serie di indicatori specifici come richiesto dalla Direttiva stessa..

La decisone è stata emanata nella causa C-126/23 avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale Ordinario di Venezia (Italia),con Ordinanza del 15 febbraio 2023.

La ragione della richiesta alla Corte deriva da un fatto delittuoso in base al quale, con sentenza del 18/9/2018, il Tribunale di Padova aveva condannato l’autore dell’omicidio della sua ex compagna,commesso in Italia,alla pena detentiva di 30 anni disponendo all’imputato di versare una provvisionale ai familiari della vittima,costituiti parte civile.

Invero il Tribunale aveva assegnato € 400.000 a ciascuno dei due figli,€ 120.000 al padre,alla madre e alla sorella nonché € 30.000 al coniuge superstite, separata ma non divorziata dalla Vittima..

Atteso che l’autore dell’omicidio era privo di beni e redditi ed era stato ammesso al gratuito patrocinio,lo Stato italiano provvedeva a versare, a ognuno dei due figli,soltanto un indennizzo dell’importo di € 20.000 ciascuno,mentre al coniuge separato un indennizzo dell’importo di € 16 666,66,escludendo gli altri familiari..

In conseguenza i genitori, la sorella e i figli della vittima, ritenendo che l’indennizzo fosse stato quantificato in base alla Legge n.122/2016, in palese violazione della Direttiva 2004/80 e con notevoli limitazioni,ricorrevano al Tribunale Civile di Venezia chiedendo che,previa disapplicazione del D.M. di attuazione, ritenuto anch’esso illegittimo,procedesse a rideterminare gli importi dovuti a titolo di indennizzo,in ragione del loro grado di parentela con la vittima dell’omicidio,in modo «equo ed adeguato»,in base all’art.12,par.2,della Direttiva,tenendo conto della quantificazione operata con la sentenza di condanna dell’imputato e previa detrazione dell’importo già versato ai figli della Vittima ed anche nel caso in cui il Fondo di solidarietà statale non disponesse delle risorse finanziarie necessarie.

In subordine,i ricorrenti chiedevano la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri,in rappresentanza dello Stato italiano,al pagamento delle medesime somme a titolo di risarcimento del danno subito a causa della mancata attuazione della Direttiva 2004/80 ed, in particolare, del citato art.12.

Nella domanda avanzata i ricorrenti hanno anche sostenuto che l’art.12 della Direttiva indica le persone che devono essere indennizzate in modo arbitrario e svincolato da parametri equi ed adeguati alla fattispecie.

Inoltre,nel caso in esame,l’indennizzo sarebbe stato concesso anche al coniuge superstite della vittima dell’omicidio, dalla quale egli era separato dal 2006, ossia da ben undici anni dalla sua morte.

Infine,gli stessi ricorrenti hanno eccepito che l’importo corrisposto ai figli della vittima di un omicidio,in base al contestato DM di attuazione,deve ritenersi inconferente ed in violazione della decisione della GUCE (v.sentenza del 16 luglio 2020),in base alla quale un risarcimento forfettario concesso sulla base di un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, per essere qualificato come «equo ed adeguato», ai sensi del citato art.12,deve rappresentare un appropriato contributo al ristoro del danno materiale e morale subito dalle Vittime..

Da ultimo,i ricorrenti hanno eccepito la illegittimità della normativa nazionale anche nella parte in cui subordina il versamento dell’indennizzo alla condizione che lo Stato abbia accantonato i fondi necessari per tale adempimento in aperto contrasto con la Direttiva 2004/80.

Prima di esaminare in dettaglio i vari capi della sentenza è utile un breve excursus sul Diritto Europeo in tema di Indennizzo per le Vittime di Reato.

La Direttiva Europea del 2004

Il Legislatore Europeo,con la Direttiva 2004/80/CE,ha inteso creare un sistema di cooperazione fra Stati membri per facilitare l’indennizzo alle vittime di reati violenti.

I presupposti previsti per il riconoscimento dell’indennizzo sono,in sintesi,:

a. l’essere rimasti vittima di un reato; con la precisazione che deve trattarsi di un reato intenzionale e violento;

b. che la vittima non possa ottenere un risarcimento da chi l’ha compiuto per in capienza dello stesso o altro come,ad es, a causa della mancata individuazione dell’autore del reato oppure quando lo stesso non abbia mezzi patrimoniali per adempiere agli obblicghi risarcittori della condanna(che ricorre nel 98% dei casi come insegna l’esperienza delle Aule di Giustizia-Ndr),

Invero,l’Italia ha dato applicazione alla Direttiva,in un primo tempo, con il D.lgs. n.204/2007, la cui inadeguatezza ha indotto il Consiglio UE ad avviare una procedura di infrazione(n.2011/4147) per inadempimento, per cui è stata varata La legge 122/2016 che,anche in questo caso,non è apparsa esaustiva per la Dottrina prevalente per quanto si dirà infra..

La Corte di Giustizia UE,sulla delicata materia,ha sancito più volte che gli Stati membri inadempienti violerebbero l’art. 10 del Trattato CE che sancisce l’obbligo di adottare “tutte le misure di carattere gene rale e particolare” e, nello specifico, per la mancata o tardiva attuazione delle direttive, l’art. 249, comma 3°, del Trattato CE, che dispone testualmente che “la Direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salvo restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma ed ai mezzi”.

In base a tale assunto,la Corte aveva riconosciuto, a favore dei cittadini europei non solo la titolarità dei diritti che nascono dall’Ordinamento comunitario ma anche il diritto a veder recepita la normativa comunitaria,con conseguente diritto al risarcimento del danno da parte dello Stato in caso di inadempimento.

(v.sentenza Francovich c. Repubblica Italiana e Bonifaci c. Repubblica Italiana, Corte di Giustizia CE, 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90) e di cui si dirà infra..

Pertanto,deve ritenersi che l’art. 12, par. 2, della Direttiva 2004/80/CE, impone ad ogni Stato membro di dotarsi di un sistema di indennizzo che comprenda tutte le vittime di qualsiasi reato intenzionale violento commesso nel suo territorio, non assumendo rilievo né il dato oggettivo relativo alla natura o alla tipologia dei reato e, in conseguenza,non può ritenersi adempiente lo Stato che attribuisca il diritto di indennizzo solo in relazione a talune specie di reati,come ad esempio, quelli posti in essere nell’esercizio di attività di terrorismo, estorsione od usura, o nell’ambito di criminalità organizzata.

A tal fine,con la Direttiva, è stato prescritto agli Stati Membri dell’UE,a partire dal 1° luglio 2005,di predisporre una tutela risarcitoria- indennitaria in favore delle vittime,ove esse risultino impossibilitate a conseguire direttamente dal responsabile il risarcimento dei danni siccome inpossidente..

Lo scopo della introduzione,come riisulta dal paragrafo (6) del preambolo,è stato quello di garantire alle vittime di reato“il diritto ad ottenere un indennizzo equo ed adeguato,indipendentemente dal luogo della Comunità Europea in cui il reato è stato commesso, stabilendo altresì, come si evince dal paragrafo (7) un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato l’accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere”.

Sul punto,infatti,la norna stabilisce che “Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati internazionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo e adeguato delle vittime”.

Tuttavia, poiché il Governo italiano non ha dato completa attuazione alla Direttiva e il mancato adempimento è stato accertato dalla Corte di Giustizia UE, la Corte, con la sentenza del 27/11/2007 la Quinta Sezione,nella causa C-112/07,ha sancito che “la Repubblica Italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incomben ti in forza di tale Direttiva”.

Pertanto,tale decisione apre la strada ad azioni legali da parte dei cittadini nei confronti dello Stato per ottenere il risarcimento del danno e va sottolineato che la situazione permane nonostante l’emanazione del D.Lgs. 6 novembre 2007 n. 204 ed i provvedimenti del 2016 o del 2019,il cui contenuto è decisamente lacunoso per quanto attiene all’entità dell’indennizzo dei danni subiti dalle Vittime 2.la Direttiva Europea 2012/29/UE

A nulla è valsa la emanazione di una nuova Direttiva UE più specifica della prima.

Infatti,l’art.2 della Direttiva 2012/29/UE,emanata 25/10/2012,che ha istituito le nuove norme in materia di diritti,assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/ GAI prevede quanto segue:

«1. Ai fini della presente Direttiva si intende per:

a) “vittima”:

i) una persona fisica che ha subito un danno, anche fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche che sono stati causati direttamente da un reato;

ii) un familiare di una persona la cui morte è stata causata direttamente da un reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona;

b) “familiare”: il coniuge, la persona che convive con la vittima in una relazione intima, nello stesso nucleo familiare e in modo stabile e continuo, i parenti in linea diretta, i fratelli e le sorelle, e le persone a carico della vittima;(…)

2. Gli Stati membri possono stabilire procedure:

a) per limitare il numero di familiari ammessi a beneficiare dei diritti previsti dalla presente Direttiva tenendo conto delle circostanze specifiche di ciascun caso;

b) in relazione al paragrafo 1, lettera a), punto ii), per determinare quali familiari hanno la priorità in relazione all’esercizio dei diritti previsti dalla presente Direttiva».

Per contro,l’art.11 della Legge 7 Luglio 2016 di recepimento della Direttiva, modi ficata dall’art.6 della legge del 20 novembre 2017, n. 167 e dall’articolo 1, commi da 593 a 596, della legge del 30 dicembre 2018, n. 145,così dispone:

«1. Fatte salve le provvidenze in favore delle vittime di determinati reati previste da altre disposizioni di legge, se più favorevoli, è riconosciuto il diritto all’indennizzo a carico dello Stato alla vittima di un reato doloso commesso con violenza alla persona e comunque del reato di cui all’articolo 603-bis del codice penale, ad eccezione dei reati di cui agli articoli 581 e 582, salvo che ricorrano le circostanze aggravanti previste dall’articolo 583 del codice penale.

2. L’indennizzo per i delitti di omicidio, violenza sessuale o lesione personale gravissima, ai sensi dell’articolo 583, secondo comma, del codice penale (…), è erogato in favore della vittima o degli aventi diritto indicati al comma 2-bis nella misura determinata dal decreto di cui al comma 3. Per i delitti diversi da quelli di cui al primo periodo, l’indennizzo è corrisposto per la rifusione delle spese mediche e assistenziali.

2-bis. In caso di morte della vittima in conseguenza del reato, l’indennizzo è corrisposto in favore del coniuge superstite e dei figli; in mancanza del coniuge e dei figli, l’indennizzo spetta ai genitori e, in mancanza dei genitori, ai fratelli e alle sorelle conviventi e a carico al momento della commissione del delitto. (…)

2-ter. Nel caso di concorso di aventi diritto, l’indennizzo è ripartito secondo le quote previste dalle disposizioni del libro secondo, titolo II, del codice civile.

Con decreto del Ministro dell’interno [Italia] e del Ministro della giustizia [Italia], di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze [Italia], da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono determinati gli importi dell’indennizzo, comunque nei limiti delle disponibilità del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive, dell’usura e dei reati intenzionali violenti (Italia) di cui all’articolo 14, assicurando un maggior ristoro alle vittime dei reati di violenza sessuale e di omicidio e, in particolare, ai figli della vittima in caso di omicidio commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa».(sic!!)

La nuova decisione della GUCE

Su tali problematiche è stata chiamata ad intervenire nuovamente la GUCE con la sentenza in commento emessa in sede interpretativa del Diritto Europeo vigente..

La Corte ricorda che la Direttiva 2004/80 sancisce che

«(5) Il 15 marzo 2001 il Consiglio ha adottato la decisione quadro 2001/220/GAI (…). basata sul titolo VI del trattato sull’Unione europea, consente alle vittime di chiedere un risarcimento da parte dell’autore del reato nell’ambito del procedi mento penale.(…)

(10) Le vittime di reato, in molti casi, non possono ottenere un risarcimento dall’autore del reato, in quanto questi può non possedere le risorse necessarie per ottemperare a una condanna al risarcimento dei danni, oppure può non essere identificato o perseguito».

In conseguenza,l’art.12 così dispone:

«1. Le disposizioni della presente Direttiva riguardanti l’accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere si applicano sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori.

2. Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime».

Il successivo art 17 precisa che «La Direttiva non preclude agli Stati membri la possibilità di introdurre o mantenere, nella misura in cui siano compatibili con la presente Direttiva:

a) disposizioni più favorevoli a vantaggio delle vittime di reato o di qualsiasi altra persona lesa da un reato;

b) disposizioni volte a indennizzare le vittime di reati commessi al di fuori del loro territorio o qualsiasi altra persona lesa da tali reati, fatte salve le condizioni che gli Stati membri possono specificare a tal fine».

La Corte sottolinea,inoltre,che le Autorità italiane hanno sostenuto che gli Stati membri dispongono di un’ampia discrezionalità per quanto riguarda la fissazione dell’importo dell’indennizzo mentre la stessa Corte, nella citata decisone del 2020, aveva ritenuto che,sebbene l’art.12 non osta a un indennizzo forfettario delle vittime,essa esige che tale indennizzo sia «equo ed adeguato» e che rappresenti un appropriato contributo al ristoro del danno materiale e morale subito dalla vittima (!!).

Pertanto,secondo la Corte,l’importo riconosciuto ai figli della Vittimai,nel caso di specie,non potrebbe essere considerato «equo ed adeguato» ai sensi del a norma.

In secondo luogo,ai fini della decisione, per la Corte occorre stabilire se,in caso di omicidio,le «vittime» di reati intenzionali violenti destinatarie di un sistema nazionale di indennizzo,includano i familiari stretti tra iquali i genitori nonché i fratelli e le sorelle, e poi, in caso affermativo, se si possa ritenere che un sistema di indennizzo «a cascata»,secondo l’ordine di devoluzione successoria,che garantisca a tali vittime un indennizzo «equo ed adeguato».

Sul punto la Corte afferma che l’art 12 non contiene una definizione di «vittime» né tale disposizione opera alcun rinvio ai diritti nazionali per quanto riguarda il significato da attribuirle e volta a determinare i beneficiari dei sistemi nazionali di indennizzo delle vittime di reati intenzionali.

Essa, pertanto. deve essere considerata alla stregua di una nozione autonoma del Diritto dell’Unione,che deve essere interpretata in modo uniforme nel territorio di quest’ultima i base al significato abituale del termine «vittime» ed essp può essere inteso nel senso che si riferisce sia alle persone che hanno subito esse stesse reati intenzionali violenti,nella loro qualità di vittime dirette,sia ai familiari stretti di queste ultime quando subiscono, di riflesso, le conseguenze di tali reati, in qualità di vittime indirette. (v.,in tal senso, sentenza del 7 settembre 2023, KRI, C-323/22, EU:C:2023:641, punto 46 e giurisprudenza citata).

Inoltre l’obiettivo perseguito dall’art.12 mira a garantire al cittadino dell’Unione il diritto di ottenere un indennizzo “equo ed adeguato” per le lesioni subite nel territorio dello Stato membro nel quale si trova, imponendo a ciascuno Stato membro di dotarsi di un sistema di indennizzo delle vittime per ogni reato intenzionale violento commesso sul proprio territorio (v.,in tal senso, sentenza dell’11 ottobre 2016, Commissio ne/Italia, C-601/14, EU:C:2016:759, punto 45).

Pertanto,sebbene gli Stati membri dispongano, in linea di principio, della competenza a precisare la portata della nozione di reati intenzionali violenti nel loro Diritto interno,tale competenza non li autorizzamtuttavia,a limitare il campo di applicazione del sistema di indennizzo delle vittime soltanto ad alcuni dei reati intenzionali violenti rientranti in tale nozione (v.,sentenza dell’11 ottobre 2016, Commissione/Italia, C-601/14, EU:C:2016:759, punto 46).

Occorre,anche,sottolineare che,se la nozione di «vittime» dovesse essere interpretata,come sostiene il Governo italiano,nel senso che essa include esclusivamente le vittime dirette dei reati intenzionali violenti, i reati rientranti in tale nozione che hanno portato alla morte della persona che li ha subiti non rientrerebbero nell’ambito di applicazione ratione materiae di detta disposizione, in violazione dell’obiettivo da essa perseguito..

In conseguenza,in base a tale assunto il Governo italiano, in caso di omicidio, non sarebbe tenuto a versare alcun indennizzo poiché,in tal caso,essendo deceduta l’unica «vittima» del reato,nessun’altra persona, come, in particolare, il coniuge superstite o i figli, dovrebbe,in linea di principio, essere indennizzata (!!)

Per contro,secondo la Corte,una tale interpretazione imporrebbe agli Stati membri l’istituzione di un indennizzo per i reati intenzionali violenti unicamente qualora la persona che ha subito tale reato sopravviva alle lesioni ma non quando sia deceduta a causa di queste ultime.

Sul punto,la Corte ricorda che la Direttiva 2012/29, definisce,all’art 2 paragrafo 1, lett a, la nozione di «vittime»,nel senso che essa include,oltre alle persone che hanno subito un danno causato direttamente da un reato,i familiari di una persona la cui morte è stata causata direttamente da un reato e che hanno subito un danno in conseguenza della morte di essa,mentre la nozione di «familiari» contempla il coniuge, la persona che convive con la vittima in una relazione intima, nello stesso nucleo familiare e in modo stabile e continuo,i parenti in linea diretta, i fratelli e le sorelle, e le persone a carico della vittima.

Una volta chiarito anche tale dubbio di interpretazione,la Corte ritiene che occorra valutare,sempre ai fini della decisione,anche se si possa ritenere che una normativa nazionale,in caso di omicidio,possa subordinare il diritto all’indennizzo dei genitori della persona deceduta a causa di un reato intenzionale violento all’assenza di un coniuge superstite e di figli e quello dei fratelli e delle sorelle della vittima in mancanza dei genitori, che garantisca a tali vittime un indennizzo «equo ed adeguato»,ai sensi dell’articolo 12 della Direttiva 2004/80.

A tale riguardo, tenendo conto del margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati membri per quanto riguarda tanto il carattere «equo ed adeguato» dell’importo dell’indennizzo quanto alle modalità di determinazione dello stesso come pure della necessità di garantire una sostenibilità finanziaria dei sistemi nazionali, la Corte precisa che l’importo non deve corrispondere necessariamente al risarcimento dei danni che può essere posto a carico dell’autore del reato, non deve necessariamente garantire un ristoro completo del danno materiale e morale subito dalla vittima(v.in tal senso, sentenza del 16 luglio 2020).ma deve tuttavia costituire «un indennizzo equo ed adeguato»(sentenza del 16 luglio 2020, Presidenza del Consiglio dei Ministri, C-129/19, EU:C:2020:566, punto 61).

In tali casi,uno Stato membro eccederebbe il margine di discrezionalità accordato dalla Direrttiva se le disposizioni nazionali prevedessero un indennizzo puramente simbolico o del tutto insufficiente alla luce della gravità delle conseguenze del reato per tali Vittime (sentenza del 16 luglio 2020,cit)

Infatti, poiché tale indennizzo rappresenta un contributo al ristoro del danno materiale e morale da esse subito,detto contributo può essere considerato «equo ed adeguato» solo se compensi,in misura appropriata, le sofferenze alle quali esse sono state esposte

Laddove un sistema nazionale prevedesse un indennizzo forfettario delle vittime che sia variabile in funzione della natura delle violenze subite, la misura degli indennizzi dovrebbe essere sufficientemente dettagliata,in maniera da evitare che l’indennizzo forfettario previsto per un determinato tipo di violenza possa rivelarsi, alla luce delle circostanze di un caso particolare, manifestamente insufficiente e,quindi, occorrerebbe che lo stesso venosse fissato tenendo conto della gravità delle conseguenze del reato per le vittime, e rappresentare un appropriato contributo al ristoro del danno materiale e morale subito (v.in tal senso, sentenza del 16 luglio 2020).

Inoltre,sebbene gli Stati membri possano decidere,al pari della Repubblica italiana nella causa in questione,di istituire un sistema nazionale di indennizzo che limiti i benefici ai familiari stretti della persona deceduta, attribuendo priorità ad alcuni di questi familiari, quali il coniuge superstite e i figli, rispetto ad altri familiari, quali i genitori nonché i fratelli e le sorelle con un approccio «a cascata» che corrispon de, del resto, a quello previsto all’articolo 2, paragrafo 2, della Direttiva 2012/29,che consente agli Stati membri di limitare il numero di familiari ammessi,la normativa non potrebbe,in applicazione della devoluzione successoria, escludere taluni familiari dal beneficio di qualsiasi indennizzo senza prendere in considerazione altre ipotesi diverse di devoluzione, quali,in particolare,le conseguenze materiali derivanti, per tali familiari, dalla morte per omicidio della persona di cui trattasi o il fatto che detti familiari fossero a carico della persona deceduta o conviventi con essa.

Ne consegue che un sistema nazionale di indennizzo delle vittime, come quello oggetto della domanda dei ricorrenti nel procedimento di che trattasi,dal quale sono escluse alcune vittime senza alcuna considerazione per l’entità dei danni da esse subiti, a causa di un ordine di priorità predefinito tra le diverse vittime che possono essere indennizzate e fondato unicamente sulla natura dei vincoli familia ri, non può dare luogo ad un «indennizzo equo ed adeguato», ai sensi dell’art.12, paragrafo 2, della Direttiva 2004/80.

Alla luce di quanto innanzi la Corte ha stabilito che l’articolo 12, paragrafo 2, della nuta 2004/80 dev’essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa di uno Stato membro che prevede un sistema di indennizzo per i reati intenzionali violenti che subordina, in caso di omicidio, il diritto all’indennizzo dei genitori della persona deceduta all’assenza di coniuge superstite e di figli di tale persona e quello dei fratelli e delle sorelle di quest’ultima all’assenza di detti genitori.

Conclusioni

La Corte di Cassazione (ex multis, Cass. Civ., sez. un., 17 aprile 2009, n. 9147; Cass. Civ.,  sez. III, 11 marzo 2008, n. 6427) ha recepito  i principi fondanti la responsabilità degli Stati membri per la mancata attuazione delle direttive affermati dalla Corte di Giustizia CE (sentenza Brasserie du pecheur SA c. Repubblica Federale di Germania e The Queen e Secretary of State for Trasport c. Factortame LTD, Corte di Giustizia CE, 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93) secondo cui:

a.“nell’ipotesi in cui una violazione del diritto comunitario da parte di uno Stato membro sia imputabile al legislatore nazionale che operi in un settore nel quale dispone di un ampio potere discrezionale in ordine alle scelte normative, i singoli lesi hanno diritto al risarcimento qualora la norma comunitaria violata sia preordinata ad attribuire loro diritti, la violazione sia manifesta e grave e ricorra un nesso causale diretto tra tale violazione e il danno subito dai singoli”;

b.“il giudice nazionale non può, nell’ambito della normativa che esso applica, subordinare il risarcimento del danno all’esistenza di una condotto dolosa o colposa dell’organo statale al quale è imputabile l’inadempimento, che si aggiunga alla violazione manifesta e grave del diritto comunitario”; .

c,“il risarcimento deve essere adeguato al danno subito, spettando all’ordinamento giuridico interno stabilire i criteri di liquidazione, che non possono essere meno favorevoli di quelli applicabili ad analoghi reclami di natura interna, o tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento”;

d. “subordinare il risarcimento del danno al presupposto di una previa constatazione, da parte della Corte, di un inadempimento del diritto comunitario imputabile ad uno Stato membro urterebbe contro il principio dell’effettività del diritto comunitario, poiché tale presupposto porterebbe ad escludere qualsiasi risarcimento tutte le volte che il preteso inadempimento non abbia costituito oggetto di un ricorso proposto dalla Commissione ai sensi dell’art. 169 del Trattato e di una dichiarazione di inadempimento pronunciata dalla Corte”.

Anche le SS UU della Suprema Corte, in una recente pronuncia,avevano stabilito che “per risultare adeguato al diritto comunitario, il diritto interno deve assicurare una congrua riparazione del pregiudizio subìto dal singolo per il fatto di non aver acquistato la titolarità di un diritto in conseguenza della violazione dell’ordina mento comunitario”. (Cass. SSUU con sez. un. 22 maggio 2018 n. 12567).

Pertanto,il ritardo nel recepimento della Direttiva,innanzi citata,ha introdottto per lo Stato italiano un’autonoma responsabilitàmche non va confuso con l’indenniz zo previsto dalla stessa Direttiva.e che risulta disciplinato in maniera discutibile, atteso che,secondo la Cassazione,la possibilità di ottenere il risarcimento dda parte dello Stato non è venuto meno dopo la emanazione della itata Legge n. 122/2016 che prevede un dubbio meccanismo indennitario..

Alla luce di quanto sin qui esposto, è evidente che l’inadempimento dello Stato italiano presenta tutte le caratteristiche per concretizzare una responsabilità civile verso tutte le vittime di reati internazionali violenti impossibilitate ad usufruire del meccanismo di indennizzo statale introdotto dal Legislatore comunitario con la Direttiva 2004/80/CE.

In conseguenza per le vittime dei reati intenzionali violenti si apre,quindi,la strada dell’azione risarcitoria nei confronti del Governo italiano con l’amara constatazione che lo stesso Governo, anziché garantire ed indennizzare le vittime dei reati così come previsto dal diritto comunitario, le costringe ad una lunga e costosa trafila giudiziaria che non trova giustificazione alcuna.

Con buona pace per le Vittime di reato che devono accontentarsi di una norma tiva più volte censurata dalla GUCE e sulla quale deve intervenire il Parlamento, assicurando un “equo indennizzo”dei danni, che è una delle ragioni per l’inseri mento della tutela Vittime nella Costituzione modificando in tal senso l’art.111 con la Riforma in discussione.

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